martedì 8 novembre 2016

BUROCRAZIA E VALORE PUBBLICO: PERCHE' LA PA DEVE CAMBIARE

La lettura di questo articolo di Gian Antonio Stella e' un ottimo caso di studio per ogni corso universitario di management pubblico. La burocrazia puo' anche servire - ad esempio, in ogni aereoporto c'e' un modello organizzativo burocratico, e per fortuna che c'e' - ma, a volte, semplicemente non serve. Se un cittadino dona due appartementi per i terremotati uno Stato serio trova il modo di poter accettare questa donazione, soprattutto in un momento di crisi come questo. A cosa serve altrimenti parlare di manager pubblici? Lo Stato e la pubblica amministrazione vanno completamente ripensati. Serve ancora Weber, ma serve anche uno Stato innovatore, come direbbe Mariana Mazzucato. 

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martedì 11 ottobre 2016

MILANO E LA LEADERSHIP DELLE CITTA'

La leadership di una città (city leadership) può essere definita come l'attività con cui le città e i loro principali attori attivano una funzione di guida e mobilitazione di altri attori (i cosiddetti followers, possono essere cittadini, organizzazioni di ogni tipo ma anche altre citta') rispetto al perseguimento di determinati obiettivi. Ci possono essere esempi di buona o cattiva leadership, ma tutte le città e gli attori sono leader o followers a seconda delle situazioni. Alcuni esempi: Milano ha da sempre una leadership economica sul resto d'Italia, ma può essere vista come follower di altre città europee, come Londra e Berlino. In particolare si distinguono tre tipi di city leadership: politica, manageriale e civica. Stefano Parisi e Giuseppe Sala hanno tutte e due concentrato la loro narrativa sulla dimensione manageriale della city leadership, parlando di temi come la riduzione dei costi e l'efficientamento del Comune, la gestione di servizi pubblici migliori, l'introduzione di nuove tecnologie (tutto il dibattito su Milano smart city) e di nuove forme di organizzazione sociale (ad esempio il co-working). Una narrativa manageriale ben interpretata. 

La leadership politica di Milano consisterà invece nella capacità di competere e/o collaborare con le altre città europee e del mondo. Questo tema è stato quasi del tutto assente dal dibattito. Come si vuole posizionare Milano in queste reti globali? Ad esempio, come Milano vuole provare a vincere la competizione con Londra e in che ambiti? Veniamo ora alla dimensione civica della city leadership. Qui la metafora è un'altra: Quarto Oggiaro come emblema delle periferie milanesi. Non si può parlare di leadership civica se non si pensa a cosa si percepisce a Quarto Oggiaro e altre zone, come ad esempio viale Padova, dove, più che di dibattiti sulla smart city, si parla della paura di camminare nelle strade e della fatica di arrivare a fine mese. Messaggio finale: il Sindaco di Milano Beppe Sala dovrà avere in agenda ogni giorno la competizione con Londra e le altre principali città europee, ma anche il disagio sociale di Quarto Oggiaro e delle altre periferie. Coniugare questi due livelli di senso in una coerente e moderna attività amministrativa appare dunque la vera sfida da cui dipenderà la capacità di leadership di Milano nel suo insieme. 


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mercoledì 20 aprile 2016

COMUNITA' E SOCIETA' AI NOSTRI TEMPI

Domani faro' un intervento sul pensiero di Ferdinand Tönnies presso l'Universita' dove lavoro. Non sono un sociologo, ma la lettura del piu' celebre libro di Tönnies, Comunita' e Societa', mi ha sollecitato alcuni interrogativi che condivido.

Brevemente: la comunita' viene intesa come quel luogo dove i rapporti sociali emergono in seno alla famiglia per estendersi poi ai rapporti di vicinato e di amicizia; tali rapporti si basano sull'interazione personale improntata a principi di intimità, condivisione di linguaggi, significati, abitudini, spazi, ricordi ed esperienze comuni. Nella società, invece, i rapporti tendono ad improntarsi al modello dei rapporti di scambio di mercato, ad essere impersonali e formali.

La questione chiaramente non e’ chiedersi se sia meglio la comunita’ o la societa’, in quanto, anche in Tönnies, comunita’ e societa’ sono due categorie concettuali in cui leggere l’evoluzione verso la modernita’, ma che convivono nei rapporti sociali. Il punto piu’ potente del pensiero di Tönnies applicato ad oggi e’ quindi come e quanto i valori comunitari sono ancora eticamente rilevanti per farsi problema politico nella societa’ moderna.

In altri termini e semplificando (e questo e' un mio pensiero): ben venga piu’ societa’ e meno comunita’ se questo serve a far uscire zone e aree dal familismo amorale e dal metodo mafioso, ma ben venga anche una riscoperta di alcuni valori comunitari nelle societa’ dove l’individualismo e l’indifferenza regnano come risultato di un’asseufazione a strutture sociali che da mezzo si sono fatte fine.

Occorre inoltre interrogarsi su come la rete stia modificando la comunita’ e la societa’ ed in che modo, od oppure ancora se la rete sia una nuova categoria concettuale in cui leggere i rapporti sociali (tesi che sostengo). Ne parleremo in un altro post, ma ben vengano i vostri commenti e/o contributi su questo tema.



venerdì 22 gennaio 2016

L’OSSESSIONE PER LE "BEST PRACTICES": ALCUNE RIFLESSIONI (A. Braga)

“Best practice”, un termine che all’inizio degli anni Novanta attirava sempre più interesse attorno al mondo della ricerca, è diventato oggi un termine spesso abusato, quasi un cliché. Di fatto, come spesso accade, l’abuso di una terminologia può condurre a risultati che spesso allontanano dal suo significato originario.

Sfogliando le pagine dei motori di ricerca troviamo centinaia di definizioni di “best practice” più o meno simili fra di loro. Tuttavia, molte definizioni enfatizzano solo la capacità di questa buona pratica di produrre risultati “migliori”, senza considerarne l’ambito spazio-temporale (ovvero dove nascono queste pratiche). In altre parole, spesso si considerano come “best” delle pratiche che possono essere usate come benchmark e possono essere replicate ovunque. E questo è l’errore più grande. 

Difatti, bisogna sempre ricordare che la pratica migliore è “una procedura o un set di procedure che sono migliori o da considerare uno standard all’interno di una organizzazione, azienda, ecc…” (tradotto da Dictionary.com). A tal riguardo, sebbene talune pratiche possono avere maggiore successo di altre, tale successo è maggiormente correlato alle caratteristiche del contesto all’interno del quale le pratiche vengono adottate, piuttosto che riconducibile alla mera capacità dei manager di adottare tali riforme.

Infine, come ricorda Robert B. Behn (Harvard University) in un Public Management Report del 2006, se le pratiche migliori sono replicabili ovunque, i manager non avrebbero più bisogno di “pensare”, ma solo di copiare quello fatto da altri. Mentre la vera sfida è studiare a fondo la propria organizzazione, capirne i punti di forza e di debolezza e analizzare il contesto di riferimento e capire come l’organizzazione deve evolvere ed innovare per sopravvivere.

Alessandro Braga